
di Giandomenico De Franco
Mentre il Covid-19 continua la sua diffusione in tutto il mondo, i governi, in attesa di un vaccino, stanno adottando misure drastiche per proteggere la salute dei cittadini, come il distanziamento sociale per interrompere fisicamente il contagio, ed il lockdown.
Tuttavia, ciò ha interrotto anche la produzione e circolazione di tantissimi beni e servizi, bloccato le economie, e sta generando una recessione globale. Il contagio virale porta con sè un contagio altrettanto pericoloso, quello economico, e si sta diffondendo rapidamente come la malattia.
E’ innegabile che ci troviamo in un territorio inesplorato fino ad ora, se non nei racconti e film di fantascienza, e parlare genericamente di recessione non offre molti elementi per chiarire se le economie saranno in grado di tornare ai livelli di produzione e ai tassi di crescita pre-shock, e se assisteremo ad un rimodellamento strutturale dell’economia dalla crisi del coronavirus.
Senza dimenticare che una seconda ondata di infezioni ha elevate probabilità di verificarsi, anche per i Paesi che hanno contenuto l’espansione dell’epidemia in tempi relativamente brevi, e che sono ancora a rischio contagio quando riportano l’economia alla normalità. In effetti, abbiamo assistito ad un ritorno del virus a Singapore e Hong Kong.
Nel quarto trimestre del 2019 solo tre settori hanno registrato un tasso di crescita anno su anno positivo in un nutrito gruppo di paesi, vale a dire prodotti farmaceutici di base, bevande, e prodotti alimentari.
Mentre queste tre industrie rappresentano beni di consumo di base essenziali e probabilmente continueranno a performare bene nei prossimi mesi, si prevede che altre industrie manifatturiere subiranno un duro colpo a causa dell’epidemia di coronavirus e delle conseguenti implicazioni economiche.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’economia mondiale è prevista in flessione del -3% nel 2020, seguita da un probabile rimbalzo del +5,8% nel 2021. Nell’area Euro, tra le economie più avanzate, sarà proprio l’Italia a soffrire di più, con il -9,1% nel 2020.

Lo shock riguarderà i tre canali principali dell’economia globale: domanda, offerta e finanza.
Dal lato della domanda, una combinazione di reddito ridotto e paura del contagio comporterà una riduzione della spesa privata. Sebbene alcuni di questi effetti possano essere compensati dall’aumento della spesa pubblica, si prevede che l’effetto della domanda netta dello shock di coronavirus sarà negativo nel breve periodo.
Ciò potrebbe essere amplificato da effetti collaterali negativi dell’offerta, attribuibili a una brusca interruzione delle attività manifatturiere nelle regioni più colpite, e alle conseguenti strozzature nelle catene del valore globali. Se lasciate senza indirizzo, tali interruzioni a loro volta scateneranno chiusure di fabbrica diffuse a causa della mancanza di input intermedi, anche nelle aree meno colpite dal virus.
Aumento sostanziale della disoccupazione
Un aumento sostanziale della disoccupazione globale sembra quasi certo. L’ILO (International Labour Organization) si aspetta che la pandemia influisca in modo sproporzionato non solo su quei lavoratori con condizioni di salute precarie, ma anche sui giovani più vulnerabili alla riduzione della domanda di lavoro, le donne, nonché i lavoratori non protetti della cosiddetta “economia dei gig” e i migranti.
Complessivamente la crisi economica e del lavoro causata dal Covid-19 potrebbe incrementare la disoccupazione nel mondo di quasi 25 milioni di individui, che si aggiungerebbero ai 188 milioni del 2019.
Probabilità di insolvenza
Una maggiore avversione al rischio e una fuga verso la liquidità, di fronte all’incertezza causata dallo shock di COVID-19, causerà uno stress sui mercati finanziari pesando sull’economia globale.
Questa fuga di capitali ha riacceso i timori che paesi come Argentina, Turchia o Sudafrica, potrebbero presto scivolare verso l’insolvenza e il default, facilitati dai deprezzamenti valutari in atto. Il peso argentino ha continuato a svalutarsi ed è diminuito di un altro 6% rispetto al dollaro solo quest’anno. Allo stesso modo, la lira turca è calata del 10% da gennaio, a causa di una stretta da parte degli investitori.
Mentre questi sono solo due esempi, la situazione sta diventando altrettanto grave in molti altri paesi a basso e medio reddito, e richiede un’attenzione urgente da parte dei responsabili politici e della comunità internazionale. Ulteriori Frequenti fluttuazioni sono invece attese nel mercato dei cambi.
Oltre 75 delle 100 società multinazionali seguite dall’UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo) hanno rilasciato dichiarazioni sugli effetti del virus sulla loro attività. Molti stanno riducendo le spese in conto capitale nelle aree colpite e, ad oggi, 41 hanno dichiarato riduzioni di profitto. I profitti inferiori si traducono in utili reinvestiti inferiori, una componente importante degli investimenti diretti all’estero.
Un campione più ampio delle prime 5.000 società quotate mostra che le previsioni sugli utili per l’anno fiscale 2020 sono state riviste al ribasso in media del 30%. I settori più colpiti sono i settori dell’energia e dei materiali di base (-208% per l’energia, con un ulteriore shock causato dal recente calo dei prezzi del petrolio), le compagnie aeree (-116%) e l’industria automobilistica (-47%) .
Standard & Poor’s dal canto suo ha rilevato il numero di società, pari a 103, appartenenti all’Indice Stoxx Europe 600 che nel marzo 2020 hanno rivisto o ritirato le previsioni di crescita per l’anno in corso. Tra queste spiccano quelle del largo consumo, soprattutto lusso e abbigliamento, tra cui Puma, Kering, LVMH, Hugo Boss, e del manifatturiero B2B.

Come sottolineato da Richard Baldwin ed Eiichi Tomiura nel loro saggio pubblicato il 6 marzo 2020, i paesi più colpiti rappresentano la maggior parte del PIL globale, della produzione manifatturiera e delle esportazioni. Inoltre, le politiche di mitigazione introdotte comporteranno un rallentamento globale della domanda aggregata.
Le catene di approvvigionamento globali hanno sostanzialmente cambiato il modo in cui si propagano gli shock di offerta. Poiché le parti e i componenti industriali vengono sempre più scambiati, è probabile che uno shock dell’offerta in un’economia integrata a livello globale crei “contagi nella catena di approvvigionamento” attraverso il commercio di beni intermedi.
Gli scenari
Riassumendo, attualmente ci troviamo in questa situazione:
- le caratteristiche del virus Covid-19 non sono completamente comprese e potrebbero cambiare;
- Il numero dei pazienti asintomatici è ancora imperfetto;
- i veri tassi di infezione e immunità sono quindi incerti, soprattutto dove i test sono limitati;
- le risposte politiche saranno irregolari, spesso ritardate e ci saranno passi falsi;
- le reazioni delle imprese e delle famiglie sono incerte.
Anche solo abbozzare delle previsioni in un tale contesto è controproducente, ed a tratti anche frustrante, quindi è meglio ragionare in termini di scenari, basandoci sulle esperienze passate.
Gli eventi che abbiamo osservato nel recente passato, e che hanno avuto una forza tale da rompere gli equilibri macroeconomici delle nazioni, hanno prodotto delle forme geometriche, che ci consentono di visualizzare i possibili scenari che ci troveremo di fronte, classificati in base alla durata della fase recessiva ed il suo successivo recupero.
Forma a V. A seguito di uno shock il periodo di tempo che impiega il PIL per ritornare ai suoi livelli pre-crisi è relativamente breve. La crescita riprende il suo normale percorso grazie alla mancata interruzione del flusso creditizio. E’ quel che è successo al Canada nel 2008.
Forma a U. A seguito di uno shock il periodo di tempo che intercorre tra la temporanea perdita di ricchezza ed il suo ritorno ai livelli pre-crisi è più ampio. Questo è causato da una crisi bancaria che interrompe i normali flussi creditizi generando una perdita produttiva consistente. Nello stesso anno in cui il Canada sperimentava una forma a V gli USA stavano vivendo una situazione a U.
Forma a L. E’ lo scenario peggiore, dove un Paese non solo non recupera il trend precedente lo shock, ma rimane su un livello di ricchezza inferiore al precedente. La crisi raggiunge effetti tali sul sistema finanziario e produttivo da lasciare danni strutturali duraturi all’economia. L’esempio più eclatante è rappresentato dalla Grecia.
Cosa dobbiamo aspettarci per l’Italia
Sicuramente evitare un andamento a L, mentre un forma a V sarebbe auspicabile ma decisamente irrealizzabile. Ci rimane una forma a U sperando che il tempo che intercorre tra la discesa e la risalita sia il più breve possibile.
Perchè ciò accada abbiamo bisogno che la nostra capacità produttiva non venga intaccata più di tanto, che le banche continuino ad erogare credito, e che la perdita di produttività, seppur inevitabile nel breve termine, non generi un eccesso di disoccupazione.
In questa direzione si sta muovendo il Governo per limitare per quanto possibile gli effetti del lockdown sui conti aziendali, evitare l’interruzione del mercato creditizio, contenere la fuoriuscita di forza lavoro. In poche parole evitare che lo shock da coronavirus sull’economia diventi strutturale.
In questa fase buona parte dell’economia italiana è praticamente congelata. Mesi di distanziamento sociale potrebbero interrompere la formazione di capitale e, in definitiva, la partecipazione del lavoro e la crescita della produttività. A differenza delle crisi finanziarie, un congelamento prolungato di questa portata, che danneggia il lato dell’offerta, rappresenta un nuovo territorio per i responsabili politici.
Le misure adottate dalla maggior parte dei governi, ed in buona parte anche dall’Italia, vertono su:
- “prestiti ponte” a interesse zero alle famiglie e alle imprese per la durata della crisi e un generoso periodo di rimborso;
- moratorie sui pagamenti dei mutui per i mutuatari residenziali e commerciali;
- impiego del sistema bancario per fornire finanziamenti e rielaborare i termini sui prestiti esistenti.
Tali misure potrebbero avere un’influenza significativa sull’attenuazione dell’impatto del virus sul lato dell’offerta delle economie. Tuttavia ha anche bisogno di un’esecuzione agile ed efficiente, tenendo presente che gli stimoli programmati non possono compensare in breve tempo il calo della domanda aggregata e i danni alle catene di approvigionamento globali causati da un tale shock.
Stesso discorso vale per le iniezioni di liquidità e le linee di credito, che possono richiedere tempo.
Secondo la rilevazione trimestrale di Confcommercio per il primo trimestre del 2020 si stima una riduzione dei consumi del -10,4% rispetto allo stesso periodo del 2019, dove il solo mese di marzo ha registrato una contrazione del -31,7%. Basti pensare che nel solo mese di marzo:
- l’accoglienza turistica ha registrato un calo del -95% di stranieri a partire dall’ultima settimana di marzo;
- gli aeroporti italiani hanno perso oltre 11,5 milioni di passeggeri;
- le immatricolazioni di auto sono calate del -82%;
- Le immatricolazioni di autocarri con portata fino a 3,5 tonnellate sono calate del -72%, trascinando il settore dei veicoli commerciali verso un calo del -29% nel primo trimestre 2020;
- le vendite di abbigliamento e calzature hanno raggiunto picchi del -100%, soprattutto per chi non sfrutta i canali digitali;
- i bar e ristoranti hanno fatto segnare una flessione del -68%, dove il food delivery ha giocato un ruolo mitigatore.

Tale andamento diventa ancor più preoccupante considerato che lo stato di salute della nostra economia era debole ancora prima del Covid-19. Nonostante nel mese di gennaio 2020 si fosse registrato un aumento della produzione industriale del +3,7%, la media del trimestre novembre-gennaio era in calo del -0,9% rispetto al trimestre precedente.
L’Istat, a marzo 2020, segnala una forte flessione del clima di fiducia delle imprese in tutti i settori, con intensità maggiori in quelli del turismo, servizi, trasporto e magazzinaggio.
Secondo Confindustria durante il lockdown si sarebbero perduti 101,7 miliardi di euro di PIL. Cifra che aumenta dello 0,75% per ogni settimana di inattività delle imprese.
Confartigianato stima una flessione dei ricavi del -71% per le attività artigianali nel mese di aprile
In un quadro a tinte molto fosche troviamo però anche dei barlumi di speranza. La società di rating Scope Ratings posiziona l’Italia al 23° posto (su di un totale di 63 nazioni) tra i meno vulnerabili, ed undicesima tra i più resistenti in caso di shock esterni, e questo grazie al fatto che il debito pubblico sia detenuto per il 70% in mani domestiche.
Affrontiamo questa grave emergenza con industrie meno indebitate rispetto al passato ed un sistema bancario più solido. In particolare quest’ultimo ha quasi raddoppiato il grado patrimonializzazione dal 2009 ad oggi, mentre lo stock di crediti deteriorati lordi è sceso da 139 miliardi di euro a 104 miliardi.
Il debito privato è basso, mentre il tasso di risparmio è alto (pari al 10,5%).
E’ da evidenziare anche l’accelerazione delle attività digitali, e servizi ad esse connesse, impressa dal lockdown. Basti pensare che dal 6 marzo al 6 aprile sono cresciute del +25% le consegne a domicilio di generi alimentari; +40% streaming video; +20% i sistemi di video conferenza; +17% l’uso dei videogiochi; +17% l’utilizzo di sistemi di remote learning per adulti; +22% le video chat.
le previsioni
Nel prevedere gli scenari sul mercato domestico è d’obbligo gettare uno sguardo su quanto sta avvenendo in Cina, il primo Paese ad essere ritornato alla normalità, a cominciare dal revenge spending: la fine della quarantena ha generato un picco di domanda, di spesa compulsiva, la cui durata è imprevedibile.
L’ecommerce è cresciuto del +5,9%, arrivando a pesare per il 36% delle vendite totali in Cina, ma il dato significativo che balza all’occhio è la sua espansione anche ai centri minori, redditi medi inferiori, popolazione più anziana. Sui social cinesi c’è stato anche un forte sviluppo delle televendite in diretta, cresciute del 100% su Taobao.
Dall’altro lato è aumentato significativamente il numero di quanti si dimostrano scettici sulla ripresa dell’economia, con un forte impatto sulle strategie dei marchi di prodotti discrezionali che dovranno lavorare il doppio per conquistare i consumatori intercettandone i cambiamenti.
In Italia è molto più probabile aspettarsi uno scenario da “zombie economy”; una fase in cui dal lato della domanda ci sarà meno disponibilità a spendere, e dal lato dell’offerta ci sarà l’impossibilità di funzionare a pieno regime causa distanziamento sociale, contingentamento delle presenze nei luoghi di vendita e lavoro, restrizioni negli spostamenti.
Ma nel frattempo che la Fase 2 diventi operativa, dobbiamo segnalare il grido di dolore che si leva da tutti i comparti.
Una delle nostre eccellenze, l’agroalimentare, potrebbe perdere 4 miliardi di euro di export quest’anno secondo Confagricoltura. Gli scambi internazionali potrebbero subire una flessione che oscilla tra il 13% ed il 32% rispetto al 2019, dove, ad esempio, le esportazioni di vino potrebbero flettere del -14%. Le vendite di prodotti agroalimentari sui mercati esteri avevano raggiunto un valore di 44,6 miliardi di euro nel 2019.
Federlegno Arredo, che rappresenta una filiera di circa 80mila imprese per un fatturato di 42,5 miliardi di euro nel 2019, stima una perdita di circa 8 miliardi di euro per il 2020.
Confindustria nautica afferma che la chiusura dei cantieri estesa anche al mese di maggio farebbe scivolare il fatturato complessivo della nautica italiana dai 4,7 miliardi di euro del 2019 ai 4,0 del 2020.
Assaeroporti stima per i gestori aeroportuali una contrazione di fatturato di circa 1,6 miliardi di euro per il 2020.
Anima, che raggruppa le imprese della meccanica, stima un calo del fatturato tra il 15%-20% per il 2020. Le aziende della meccanica hanno una forte vocazione all’export, pari al 60% dei ricavi, per un controvalore di 28,7 miliardi di euro nel 2019.
La chiusura prolungata durante il lockdown potrebbe rendere ancor più difficile il recupero del fatturato perso perchè nel frattempo tanti competitor internazionali non si sono fermati.
Preoccupazione condivisa anche dai produttori di macchine utensili, settore in cui siamo i quarti produttori mondiali, e che ha visto un calo degli ordini dall’estero del 5% nel primo trimestre 2020.
Uno studio di Intermonte rivela che l’epidemia in atto può arrivare a bruciare fino al 60% dei profitti che erano attesi per il 2020 per le società quotate al FTSE Mib. Ad essere maggiormente penalizzati i titoli industriali (-129,4%), e dell’energia (-103,5%). Quelli a subire il calo minore sarebbero le telecomunicazioni (-9,8%), e le utilities (-20,9%).
Alcune tipologie di aziende (ristoranti, tour operator, piccole attività ricettive, ecc.) saranno molto penalizzate e molte potrebbero fallire, con 4,3 milioni di Pmi e 1,2 milioni di aziende artigiane che sono oggi la platea più a rischio fallimento.
Sono le aziende più direttamente interessate dalla zombie economy, come descritta sopra.
Anche le grandi aziende dovranno affrontare gravi difficoltà finanziarie, soprattutto le compagnie aeree, case automobilistiche, catene alberghiere, grandi strutture d’aggregazione, squadre di calcio, ecc.
Funzionari governativi, fornitori di servizi online, parte dell’ industria alimentare (eccezion fatta per le aziende molto focalizzate sul canale Ho.Re.Ca.), industria farmaceutica, e servizi essenziali, non subiranno gravi danni.
I cambiamenti nella domanda cambieranno la composizione futura del PIL. La quota di servizi nell’economia continuerà ad aumentare, ma la quota di servizi resi di persona diminuirà nel commercio al dettaglio, nell’ospitalità, nei viaggi, nell’istruzione, nella sanità, mentre la digitalizzazione guiderà i cambiamenti nel modo in cui questi servizi sono organizzati e forniti.
Molti lavori a basso costo, con scarse competenze, in particolare quelli forniti da piccole imprese, non torneranno con l’eventuale ripresa. Tuttavia, i lavoratori che forniscono servizi essenziali come la polizia, i vigili del fuoco, l’assistenza sanitaria, la logistica, i trasporti pubblici e la produzione alimentare saranno più richiesti, creando nuove opportunità di lavoro.
La recessione accelererà la crescita di un’occupazione precaria, part-time, freelance, portando a nuovi sistemi di sussidi. Ad esempio lo Stato della California (USA) ha messo sotto la lente di ingrandimento aziende come Uber, Lyft, ecc., che fanno un largo uso di forme impiegatizie irregolari o innovative, per cercare di assimilarle a lavoratori regolari. Dal canto loro le aziende stanno cercando di spingere verso un riconoscimento di alcuni benefit tipici dei lavoratori regolari, senza inquadrarli però come tali.
Saranno richiesti nuovi programmi di formazione a basso costo, erogati digitalmente, per fornire le competenze richieste per nuovi lavori. L’improvvisa dipendenza dalla necessità di lavorare in remoto ci ricorda che sarà necessaria un’espansione significativa e inclusiva di Wi-Fi, banda larga e altre infrastrutture per consentire l’accelerazione della digitalizzazione dell’attività economica.
In sostanza, se il dibattito politico ed economico continuerà a vertere sul punto percentuale in più o in meno che sarà perduto quest’anno, un altro aspetto è invece innegabile, ripensare l’azienda per agganciare una parziale ripresa nel 2021 (per ritornare ai livelli pre-crisi dovremo aspettare il biennio 2022-2023).
E per farlo occorre prepararsi per tempo, anticipare i cambiamenti dei mercati e delle abitudini dei clienti, diventare capaci di prevedere gli eventi e di essere più agili, capitalizzare le criticità affrontate e trasformare le esperienze in nuovo valore.